RIFIUTI: QUANTITA' PRIMA E DOPO I TURISTI, NUOVE ASSUNZIONI, FLOP DIFFERENZIATA EREDITA' ASSESSORE MANCUSO
Inizio ottobre del 2021, circa 15 mesi , 450
giorni fa, Gaetano Manfredi viene eletto al primo turno con oltre il 65% di
voti, sindaco di Napoli. La Napoli è quella sotto gli occhi del mondo non solo
per le sue bellezze naturali ma anche per la drammatica emergenza rifiuti,
quella dei cumuli fino al primo piano dei palazzi, dalla quale si è riusciti a
venirne fuori circa 12 anni fa, grazie a provvedimenti governativi e regionali,
tra i quali l’entrata in funzione della terza linea di incenerimento del
termovalorizzatore di Acerra con i militari dell’Esercito a guardia dell’impianto.
La risoluzione di quella fase critica e
vergognosa che nessuno si augura possa più ritornare, non ha avuto però un
seguito sul versante di una efficiente gestione di tutto il ciclo dei rifiuti.
Cumuli di immondizia spuntano di tanto in tanto, la raccolta differenziata e lo
spazzamento di strade e piazze scontano ritardi talvolta disastrosi.
La roboante promessa dell’ex sindaco de Magistris,
di raggiungere il 70% di raccolta differenziata in sei mesi è ormai un lontano
ricordo, come sono lontani ricordi le altre innumerevoli promesse-boutade dell’ex
magistrato, ex sindaco.
L’amministrazione Manfredi sembra essere più
guardinga su promesse rivoluzionarie ma sull’argomento rifiuti non ha mancato
di giustificare alcune carenze su raccolta e smaltimento chiamando in causa l’elevato
afflusso di turisti in città, presenze che farebbero aumentare la quantità di
rifiuti da trattare. Una scusante utilizzata anche dalla precedente
amministrazione per difendersi dalla indecenza di zone della città sporche e
con rifiuti non raccolti, un tentativo di discolparsi che però non trova alcun
riscontro nella realtà dei numeri, dei dati che si evincono da tabelle
pubblicate dalla stessa società partecipata del Comune, l’Asìa spa, che si
occupa appunto della gestione dei rifiuti cittadini.
Chiamare in causa un fatto positivo per
giustificarne uno negativo fa sempre effetto e per questo spesso utilizzato da
incapaci amministratori che non mancano di affermare frasi del tipo: “avete visto quanti
turisti nella nostra Napoli? E pazienza se vedete rifiuti, sono loro che ne
producono in più rispetto a quelli che prodotti negli anni scorsi!”.
Secondo gli inquilini precedenti e
attuali di palazzo San Giacomo i numerosi turisti, ospiti delle migliaia di nuove
strutture ricettive nate in città, hanno contribuito e contribuiscono
all'aumento della quantità dei rifiuti prodotti influendo sulle quote di
conferimento agli Stir.
Dunque, nel 2010 (fonti ufficiali) la quantità totale del rifiuti prodotti
è stata di 549mila T, nel 2018 di 505mila T. nel 2021 di 501mila T. Un dato in
evidente calo e non in aumento per colpa di qualsiasi motivo.
Secondo il ragionamento di questi amministratori, da questi dati, si
dovrebbe dedurre che i turisti sono diminuiti, non aumentati! I tanti bed and
breakfast produrrebbero più rifiuti? E mica erano disabitati quegli immobili?
Prima c'erano famiglie ad occuparle e a produrre rifiuti, peraltro in tutti i
periodi dell'anno. Quindi i turisti non c’entrano niente con i rifiuti in
aumento e tanto meno in calo.
Ecco due tabelle recentissime sugli ultimi dati disponibili sulla raccolta di tutti i rifiuti in città relative al raffronto tra gennaio/novembre 2021 e gennaio/novembre 2022:
Tabelle dalle quali si potrà evincere
ancora una diminuzione dei rifiuti totali raccolti. Dalle 456.805 T del periodo
2021, alle 445.577 T del 2022, un calo di 11.228 T in 12 mesi, nonostante il pienone dei
turisti registrato in città.
C’è stato un imbarazzante calo, una stagnazione imbarazzante, della
percentuale di raccolta differenziata sul dato novembre 2021/novembre 2022. Si
passa dal 38% del 2021 al 37,8% del 2022. Un dato preoccupante che si
giustificherebbe solo con errori madornali di gestione e di governo di questo settore.
A fronte di questi risultati come può
risultare credibile il contenuto del piano industriale presentato prima di Natale da
Asia, dove si punta a ridurre entro il 2027 di quasi 30 milioni l’anno il costo
di gestione dei rifiuti passando dal 37 al 60 per cento di differenziata?
Un proponimento da assumere formalmente per gli obblighi di legge? Staremo a
vedere.
Un’altra giustificazione per i disservizi da
parte sempre dell’amministrazione precedente come da quella attuale, è la
mancanza di personale. Ed anche questa è una giustificazione fasulla che non
può corrispondere alla realtà per il semplice fatto che il rapporto tra Comune
di Napoli e l’Asìa è regolato attraverso un contratto di servizio, un contratto che prevede il pagamento da parte
del comune di circa 180 milioni di euro derivanti per intero dal pagamento della
Tari (tassa rifiuti) che versano i cittadini napoletani. Una cifra calcolata
per avere, da Asìa, una città perfettamente pulita e sgombra da rifiuti di
qualsiasi genere. La società per tener fede alle norme contrattuali ha bisogno
ovviamente di un determinato numero di dipendenti e può ricorrere, come appunto
fa regolarmente, a lavoratori interinali e noleggi a freddo o a caldo (con
autista) di mezzi meccanici per raccolta e smaltimento in modo da avere sempre
a disposizione mezzi e personale a sufficienza per ottemperare agli propri
obblighi stabiliti nelle pagine del contratto di servizio. Va detto che l’afflusso
di turisti in determinati periodi è anch’esso previsto nel contratto e quindi
già previsto il rinforzo di mezzi e personale in determinati punti della città.
I lavoratori recentemente
assunti in Asìa quindi, vanno infatti a sostituire i lavoratori
interinali precedentemente ingaggiati attraverso agenzie di lavoro private e i
lavoratori Asìa che vanno in pensione, non si aggiungono a quelli già esistenti
come pure si lascia credere.
I problemi veri da risolvere sono quelli dell’efficacia e dell’efficienza delle società partecipate in generale, e in questo ambito va tristemente registrato il disastro di Asìa Spa, la società comunale che si occupa dei rifiuti e della pulizia delle strade cittadine di Napoli è l’esempio lampante di come questa formula di gestione di settori della pubblica amministrazione abbia completamente fallito a certe latitudini. Lo scopo, la mission delle società partecipate era quello di sfruttare il Know how, il bagaglio di esperienza acquisito nella gestione dei servizi, per aprirsi al mercato e offrire la propria opera ad altri enti pubblici e aziende private. La crescita che si ipotizzava doveva essere una splendida occasione per i Comuni, utile per valorizzare la loro attività portandola all’esterno al fine di incassare introiti diversi dalle tasse, dalle tariffe, dai trasferimenti statali e da tutto quello che rappresentavano fino a quel momento le partite attive dei bilanci comunali. E invece…
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