Foibe, il ricordo stentato.


Oggi al bosco di Capodimonte, in occasione della Giornata del Ricordo, si è svolta la cerimonia di deposizione di una corona di alloro in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli giuliano-dalmati. Quest’ultimi trovarono ospitalità presso il Centro di raccolta profughi di Capodimonte. Ho partecipato, con tanta emozione.
Non c’era il sindaco, non c’era il vicesindaco, non c’era la stampa, né le televisioni. C’era appena l’assessore al turismo per il Comune. E c’erano poche persone, non eravamo più di dieci. Poi rappresentanti della polizia, dell’arma dei carabinieri e della prefettura.
Non c’è stato bisogno di utilizzare nemmeno casse e microfono, che pure erano predisposti, per ascoltare gli interventi.
Una commemorazione pubblicizzata sottovoce, non so se volutamente, ma lo sospetto.
L’eccidio delle Foibe, una parentesi della nostra storia, la storia d’Italia, che sembra in pochissimi vogliano ricordare, come se quegli eventi fossero in qualche modo ingigantiti, ricostruiti in modo scorretto.
E si avverte nell'aria, nelle parole di alcuni che ne scrivono e ne parlano, sfiorano negazionismo, come se la giornata del ricordo fosse stata istituita forzando o addirittura falsando la storia, parole che insinuano dubbi in alcuni e tanto disinteresse in altri.
Tralascio l’intervento dell’assessore Daniele e i suoi voli pindarici per non toccare la carne viva della tragedia che si stava commemorando, i suoi giri larghi sulla Costituzione, sulla resistenza, etc. Ma chi era lì voleva ricordare altro. E lo ha ricordato un ex profugo di Fiume, che fu ospite insieme ad altri suoi concittadini proprio nel bosco di Capodimonte nel periodo di fine e post conflitto.
Ha ricordato il terrore che attraversava la mente e il sangue degli Italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia, quando i partigiani jugoslavi comunisti gli davano la caccia, quando dovettero scappare lasciandosi alle spalle tutto senza poter preparare nemmeno una valigia, quando Tito, venuto a conoscenza dei circa 300/400mila esuli che si rifugiarono in Italia disse: “finalmente ce li siamo tolti dalle palle”.
Ha ricordato dell’assassinio, tra i primi, dei componenti del “partito autonomo fiumano” che sostenevano l’indipendenza di Fiume. Erano antifascisti. A morte anche loro. Lo sapranno i negazionisti che sostengono fu una caccia ai fascisti?


E poi le migliaia di italiani infoibati, attaccati l’uno all'altro a decine, con il fil di ferro, per formare una macabra fila indiana da far poi rotolare in quelle profondità naturali della terra. Quelle fosse che saranno intrise per sempre di terrore, di morte, di crudeltà e di ingiustizia.
Sono stato ad Auschwitz e a Birkenau, ho ascoltato parole e ho visto lacrime scorrere dagli occhi dei sopravvissuti, ho letto tanto sui campi di sterminio, sulle crudeltà dei nazisti che sono state fuori da ogni contesto umano e oggi, nelle lacrime di quel profugo, nel suo racconto, la stessa espressione di chi è scampato dai campi di concentramento tedeschi, di chi ha subito violenza e persecuzione dai suoi simili, suoi simili che smarrirono l’umanità.
E quindi, per definirci uomini liberi non possiamo dirci soltanto antifascisti ma si rende necessario definirci pienamente antitotalitari, condannando in modo fermo e deciso tutti gli orrori dei regimi, passati e presenti. Tutti.





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